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locandinadi Ilaria Canali

IL CAMMINO DELLA VITA, di Juan Manuel Cotelo, è stato il documentario più visto del 2016 nei cinema spagnoli, dove era stato presentato il 23 di Settembre scorso, seguito dalle uscite internazionali in Colombia, Paraguay, Uruguay, Chile. In Italia l’uscita è prevista per il 28 di Febbraio.
Footprints-Il cammino della vita è un film documentario che  scava nel cuore di dieci pellegrini sul cammino di Santiago e racconta il loro viaggio con un taglio decisamente spirituale ed evocativo, supportato da una splendida fotografia.
Un gruppo di giovani dell’Arizona arriva fino in Spagna per compiere uno dei pellegrinaggi più noti del mondo. Per 40 giorni e 1000 km, Juan Manuel Cotelo e il suo team li accompagneranno nella piu` grande avventura della loro vita: un viaggio fisico e spirituale capace di trasformarli per sempre. Il film racconta il loro percorso attraversa il Cammino del Nord (dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco nel 2015), la Ruta Lebaniega e il Cammino Primitivo, con piccole deviazioni dall’itinerario ufficiale per visitare luoghi emblematici come la casa di Sant’Ignazio di Loyola, i monumentali Picos de Europa.
Sofferenza, superamento, contemplazione, allegria, amicizia, bellezza, riflessioni spirituali… FOOTPRINTS trasmette tutta la gamma di emozioni che il Cammino emana. E secondo Juan Manuel Cotelo, la sfida principale di questo lavoro cinematografico sul Cammino di Santiago, è stato “mostrare un viaggio interiore, ovvero il processo interno di trasformazione dei pellegrini.”
IL FILM CHE CAMMINA e AIUTA A CAMMINARE
Seguendo il motto “il film che cammina”, la casa di produzione e di distribuzione del film, INFINITO+1, ha scommesso su una formula dove siano gli spettatori a prendere l’iniziativa, richiedendo l’uscita nelle sale cinematografiche della loro città, attraverso il sito http://www.footprintsilfilm.com. Quante più persone lo richiederanno dallo stesso luogo, più possibilità ci saranno che FOOTPRINTS entri in programmazione nelle sale cinematografiche.
Sul sito è possibile vedere le prime sale che hanno aderito alle proiezioni. FOOTPRINTS sarà anche “il film che aiuta a camminare”. Perché INFINITO + 1, attraverso la sua Fondazione, destinerà parte dell’incasso delle proiezioni per sostenere progetti rivolti a persone e famiglie senza fissa dimora. Queste persone manifestano uno spirito di superamento e di sacrificio, con cui FOOTPRINTS si identifica pienamente.
FEDERTREK E IL CINEMA DEDICATO AL MONDO DEL CAMMINARE
Dopo aver promosso il documentario “Sei vie per Santiago” di Lydia B. Smith e poi “I volti della Via Francigena”, di Fabio Dipinto, ecco un altro progetto cinematografico dedicato al mondo dei cammini cui Federtrek non fa mancare il suo sostegno. Il cinema rappresenta una canale di comunicazione potentissimo per promuovere il camminare in ogni sua forma e per attivare l’interesse verso la tutela del nostro patrimonio culturale nel modo più diretto ed efficace.
INFO:
Trailer 1 FOOTPRINTS: Trailer Footprints
Sito web: www.footprintsilfilm.com

 

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di Ilaria Canali

 

“In un’epoca di accelerazione, non c’è niente di più esilarante che andare piano. In un’epoca di distrazioni, non c’è niente di più lussuoso del prestare attenzione. E in un’epoca di movimento costante, niente è più urgente dello stare fermi. Quindi, partite pure per la vostra prossima vacanza a Parigi, Hawai, o New Orleans; scommetto che sarà bellissimo. Ma se volete tornare a casa vivi e pieni di speranza, in pace con il mondo, credo che potreste considerare di non andare da nessuna parte.”

Si chiudeva con queste parole la conferenza che Pico Iyer tenne nell’agosto del 2014 ai Ted Talks, intervento visualizzato da oltre 2 milioni e mezzo di persone. La missione dei Ted Talks (Technology Entertainment Design) può sintetizzarsi nello slogan ideas worth spreading” (idee che val la pena diffondere) e penso che l’approccio di Pico Iyer sia da promuovere anche tra chi, come i soci FederTrek, si occupa di cammini, escursioni e viaggi. Come camminatori appassionati, per essere davvero congruenti con i nostri presupposti, possiamo cercare di perseguire una filosofia del camminare che si abbini in modo armonico alla quiete, alla lentezza e alla consapevolezza.

Per quanto possa sembrare paradossale, Pico Iyer, viaggiatore instancabile dall’età di 9 anni e prolifico scrittore di viaggi, nella sua conferenza propone di imparare a fermarsi. Ha scritto al riguardo anche un libro, “L’arte della quiete, come viaggiare stando fermi” edito da Rizzoli nel 2015. Nella lingua originale, che è l’inglese, il titolo è “The art of stillness” e nella versione italiana è stato tradotto con “quiete” il vocabolo “stillness” che ha tuttavia anche il significato di immobilità. E credo che sarebbe stata più calzante proprio questa interpretazione, più forte. Perché, come vedrete, Pico Iyer non fa sconti e punta dritto al cuore della questione.

Chi di noi non ama fermarsi ogni tanto, trattenere la tentazione di fare foto e lasciare che gli occhi si prendano il loro tempo, dire no agli altri per dire sì a se stessi, ritagliarsi una pausa dal mnight-84286ondo con l’aria leggera dei puntini di sospensione quando vogliamo creare enfasi o attesa? “L’eleganza dei puntini di sospensione”, racconta Mauro Soldano “… nel giusto contesto, sembrano tracciare i tempi di un’apnea, quella di chi scrive, quella di chi, nella confusione di un’emozione, in mezzo a tutte le parole del mondo, non ne trova a sufficienza, o di adeguate. In quei puntini c’è tutto: tutto quello che vorresti sentirti dire e tutto quello che ti vorrebbe dire. Verosimilmente non sono e non saranno mai le stesse parole, ma suoneranno sempre allo stesso modo per tutti e due.

pexels-photo-134875Pico Iyer ci spiega come a volte sia necessario non andare da nessuna parte per scoprire dove si vuole arrivare. Tirare il freno può essere la strategia per non sentirci travolgere dall’ansia di perseguire gratificazioni che ci sembrano lontane e difficili. Come cantavano gli U2 in una delle loro canzoni più poetiche, si può anche correre per stare fermi (running to stand still). Quante volte ci succede?

Possiamo scoprire il desiderio di partire proprio assaporando l’attesa. Così come si mangia con appetito solo se abbiamo avuto la pazienza di lasciar crescere la fame dentro di noi. Sembra un ragionamento banale, ovvio e scontato, ma anche i viaggiatori instancabili devono saper prendere le distanze dalle loro mete per poter avere poi un passo più fermo e partire con più slancio. Tanto, come ci dice Pico, “nessun luogo è magico senza portarci lo sguardo giusto” e “il viaggio dà panorami meravigliosi, ma è solo stando fermo che si possono trasformare in visioni”.

Vivere e sopravvivere puntano in direzioni diverse e “preferirei di no è quello che, secondo Pico Iyer, dovremmo dire tutti di fronte al pericolo che lo stress si trasformi presto in un’epidemia globale, come rivelano le stime dell’Organizzazione mondiale della sanità. Correre senza sosta può impedirci di vedere dove stiamo andando. La vera rivoluzione, l’unica in grado di dare all’esistenza un valore nuovo, è smettere di fare. E cominciare a essere.”

Cosa aggiungere?

Forse solo tre …

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PICO IYER – “THE ART OF STILLNESS”

Trascrizione integrale della conferenza

“Viaggio da una vita. Persino da bambino, calcolavo che fosse più economico andare in collegio in Inghilterra piuttosto che andare alla migliore scuola sotto casa dei miei in California. E così, già a 9 anni sorvolavo da solo, diverse volte all’anno, il Polo Nord, solo per andare a scuola. E naturalmente, più volavo, più mi piaceva volare, quindi la settimana dopo il diploma trovai lavoro come sguattero in modo da poter passare ogni stagione del mio 18° compleanno in un continente diverso. Poi, quasi inevitabilmente, diventai scrittore di viaggi unendo lavoro e passione. Cominciai ad avere la sensazione che se siete abbastanza fortunati da girare tra i lumi delle candele di un tempio tibetano o passeggiare sul lungomare de L’Avana con la musica che vi circonda, potete portare quei suoni, i cieli color cobalto e i lampi blu dell’oceano agli amici a casa, e portare un po’ di magia e chiarezza alla vostra vita. Solo che, come tutti sapete, una delle prime cose che si impara viaggiando è che nessun luogo è magico senza portarci lo sguardo giusto. Portate un uomo arrabbiato sull’Himalaya, e comincerà a lamentarsi del cibo. E ho scoperto che il modo migliore per sviluppare uno sguardo più attento e riconoscente era, stranamente, non andare da nessuna parte, restare “fermo”. Ovviamente, è restando fermi che molti di noi ottengono quello che desiderano e hanno bisogno nelle nostre vite accelerate: una pausa. Ma era anche l’unico modo che ho trovato per mettere ordine nelle mie esperienze e dare un senso al futuro e al passato. Quindi, con grande sorpresa, ho scoperto che fermarsi era emozionante quanto andare in Tibet o a Cuba. E con “non andare da nessuna parte”, intendo niente di più spaventoso del prendersi qualche minuto al giorno o qualche giorno a stagione, o persino, come fanno alcuni, qualche anno nella vita per stare fermi quanto basta a scoprire cosa ci commuove di più, a ricordare dove risiede la vera felicità, e a ricordare che talvolta vivere e sopravvivere puntano in direzioni diverse.

Naturalmente, questo è quello che ci hanno detto i saggi di ogni tradizione nei secoli. È un’idea antica. Più di 2000 anni fa, gli Stoici ci ricordavano che non è la nostra esperienza a costruire le nostre vite, ma come la usiamo. Immaginate che improvvisamente un uragano spazzi via la vostra città e riduca tutto in macerie. Un uomo è traumatizzato a vita. Un altro, magari suo fratello, si sente quasi liberato, e decide che è una grande opportunità per ricominciare da zero. Esattamente lo stesso evento, ma reazioni completamente diverse. Non c’è niente di buono o cattivo, come diceva Shakespeare in “Amleto”, è il pensiero a renderlo tale. Questa è stata la mia esperienza di viaggiatore. 24 anni fa ho fatto il viaggio più terribile, in Corea del Nord. È durato solo qualche giorno. Ma poi sono stato “fermo”, ci sono tornato con la mente, cercando di capirlo, di trovargli un posto nei miei pensieri, da 24 anni ormai e probabilmente continuerò per tutta la vita. Il viaggio, in altre parole, mi ha dato dei panorami meravigliosi, ma è solo stando fermo che posso trasformarli in visioni durature. Qualche volta penso che gran parte della nostra vita accada nelle nostre teste, nella memoria, nell’immaginazione, nell’interpretazione o nelle ipotesi, e se voglio veramente cambiare la mia vita farei meglio a cominciare a cambiare la mia mentalità. Niente di nuovo; ecco perché Shakespeare e gli Stoici ce lo dicevano secoli fa, ma a Shakespeare non toccava gestire 200 mail al giorno.Gli Stoici, per quanto ne so, non erano su Facebook. Sappiamo tutti che nelle nostre vite on-demand, una delle cose più on-demand siamo noi. Ovunque siamo, e in ogni momento, i nostri capi, gli spammer, i nostri genitori ci possono trovare. I sociologi hanno scoperto che negli ultimi anni gli Americani lavorano meno ore di 50 anni fa, ma hanno la sensazione di lavorare di più. Abbiamo sempre più apparecchi per risparmiare tempo, ma qualche volta, invece, il tempo sembra ridursi. È sempre più facile entrare in contatto con chi vive negli angoli più remoti del pianeta, ma qualche volta facendo questo perdiamo il contatto con noi stessi. Una delle mie più grandi sorprese da viaggiatore è stata scoprire che spesso sono esattamente le persone che più ci hanno permesso di arrivare ovunque a non avere intenzione di andare da nessuna parte. In altre parole, proprio quegli individui che hanno creato le tecnologie che scavalcano tanti limiti del vecchio, sono i più saggi nel fissare dei limiti, anche quando si tratta di tecnologia. Una volta sono andato alla sede di Google e ho visto tutto ciò di cui molti di voi sono al corrente; gli alberi in interno, i tappeti elastici, impiegati che dedicavano il 20 per cento dell’orario a scopi personali, così da far correre l’immaginazione. Ma quello che più mi ha stupito è che mentre aspettavo il mio badge, un Googler mi ha parlato del programma che stava per cominciare per insegnare a molti Googler che praticano Yoga a diventare insegnanti di Yoga, e l’altro Googler mi parlava del libro che stava per scrivere sul motore di ricerca interno, e sul modo in cui la scienza ha dimostrato empiricamente che stare fermi, o la meditazione, ci può portare a una salute migliore o a un pensiero più chiaro, ma anche all’intelligenza emotiva. Ho un altro amico nella Silicon Valley che è veramente uno degli oratori più eloquenti sulle recenti tecnologie, e uno dei fondatori della rivista Wired, Kevin Kelly. Kevin ha scritto il suo ultimo libro sulle recenti tecnologie senza uno smartphone o un laptop o una TV a casa. E come molti nella Silicon Valley, ce la mette tutta per osservare quello che chiamano il “sabato ebraico” da Internet, in cui per 24 o 48 ore a settimana vanno completamente offline per poter cogliere un senso dell’orientamento e le proporzioni necessarie quando tornano di nuovo online. L’unica cosa che forse la tecnologia non ci ha sempre dato è il senso di come usarla saggiamente. Parlando di sabato ebraico, guardate i Dieci Comandamenti —la parola “santo” compare una sola volta,ed è per il Sabato.Prendo la Torah, il libro sacro ebreo:il capitolo più lungo è sul Sabato. E sappiamo tutti che è uno dei lussi più grandi,lo spazio vuoto. In molte composizioni musicali è la pausa che dà all’opera la sua bellezza e la sua forma. Da scrittore, so che io cerco spesso di includere spazi vuoti sulla pagina in modo che il lettore possa completare i miei pensieri e le mie frasi e la sua immaginazione possa respirare.

Naturalmente, nel mondo fisico molti, se hanno le risorse, cercheranno di trovarsi un luogo in campagna, una seconda casa. Non ho mai iniziato a mettere da parte quelle risorse, ma qualche volta ricordo che quando voglio, posso avere una seconda casa nel tempo, se non nello spazio, solo prendendomi un giorno di riposo. Non è mai facile, certo, ogni volta che lo faccio, lo trascorro preoccupato del carico extra che mi piomberà addosso il giorno seguente. Talvolta penso che preferirei chiudere con carne, sesso o vino pur di continuare a controllare le mail. Ogni stagione cerco di prendermi tre giorni di riposo, ma una parte di me si sente ancora colpevole di lasciare indietro mia moglie e ignorare quelle apparentemente urgenti email dei miei capi e magari di perdermi una festa di compleanno di un amico. Ma non appena sono in un luogo di vera pace, mi rendo conto che è solo andando lì che avrò qualcosa di nuovo, creativo o gioioso da condividere con mia moglie, i miei capi o i miei amici. Altrimenti, sto solo imponendo loro il mio sfinimento, o la mia distrazione, che non è assolutamente un bene.

E così, a 29 anni ho deciso di reinventare la mia vita nell’ottica del non andare da nessuna parte. Una sera stavo tornando dall’ufficio, era passata la mezzanotte, ero in taxi verso Times Square, e improvvisamente mi sono reso conto che stavo correndo talmente tanto che non riuscivo a star dietro alla vita. E la mia vita di allora era più o meno quella che sognavo da ragazzo. Avevo amici interessanti e colleghi, avevo un bel appartamento tra Park Avenue e la 20 strada. Avevo un lavoro che mi appassionava come scrittore di cronaca internazionale; ma non riuscivo a prenderne le distanze a sufficienza da ascoltarmi mentre pensavo, o capire se ero veramente felice. Così, ho abbandonato la mia vita da sogno per un monolocale nelle stradine di Kyoto, in Giappone, che era il luogo che da tempo mi attirava misteriosamente. Anche da bambino guardavo un dipinto di Kyoto e avevo la sensazione di riconoscerlo; lo riconoscevo prima di metterci sopra gli occhi. Ma è anche, come sapete tutti, una bellissima città circondata da colline, con più di 2000 tempi e santuari, in cui la gente sta ferma da più di 800 anni. E poco dopo essermi trasferito lì, sono finito dove sono ancora adesso con mia moglie, e prima coi miei figli, in un bilocale nel bel mezzo del nulla in cui non abbiamo né bicicletta, né auto, né programmi TV comprensibili, e devo ancora sostenere i miei cari in quanto scrittore di viaggi e giornalista,quindi chiaramente non è l’ideale per il lavoro, per la vitalità culturale o per gli svaghi sociali. Ma mi sono reso conto che mi dà quello che più apprezzo, ossia giorni e ore. Non ho mai dovuto usare un cellulare. Non devo quasi mai guardare l’ora, e tutte le mattine quando mi alzo, il giorno si stende di fronte a me come un campo aperto. E quando la vita mi farà una delle sue cattive sorprese, come farà, più di una volta: quando un medico entrerà nella mia stanza con un’espressione seria o un’auto improvvisamente sbanderà davanti alla mia, in autostrada, so già, dentro di me, che sarà il tempo passato da fermo a sostenermi, molto più del tempo trascorso a correre per il Bhutan o per l’Isola di Pasqua.

Sarò sempre un viaggiatore — la mia vita ne dipende — ma una delle bellezze del viaggiare è che permette di portare quiete nel movimento e nel trambusto del mondo. Una volta sono salito su un aereo a Francoforte, in Germania, e una giovane donna tedesca si è seduta accanto a me e abbiamo iniziato a chiacchierare piacevolmente per una mezz’oretta, poi si è girata ed è rimasta ferma per 12 ore. Non ha acceso il video neanche una volta, non ha mai tirato fuori un libro, non ha neanche dormito, è solo rimasta ferma, e qualcosa, nella sua trasparenza e calma, mi si è rivelata. Oggi, ho notato, sempre più persone prendono deliberatamente delle misure per cercare di ritagliarsi uno spazio nella vita. Alcuni vanno in villaggi sperduti in cui spendono centinaia di dollari a notte per abbandonare cellulare e laptopalla reception all’arrivo. Alcune persone che conosco, prima di andare a dormire, invece di leggere i messaggi o guardare YouTube, spengono la luce e ascoltano musica, e noto che dormono molto meglio e si svegliano più riposati. Ho avuto la fortuna di guidare per le cupe montagne dietro Los Angeles, in cui il grande poeta e cantante Leonard Cohen, tanto amato in tutto il mondo, ha vissuto e lavorato per tanti anni come monaco a tempo pieno nel Mount Baldy Zen Center. Non mi ha del tutto sorpreso quando il disco pubblicato all’età di 77 anni, a cui ha dato deliberatamente il titolo poco sexy “Old Ideas”, è salito in cima alle classifiche in 17 paesi del mondo, è arrivato nella top cinque in altri nove. Qualcosa dentro di noi, credo, sta chiedendo a gran voce un senso di intimità e profondità che riceviamo da persone come questa, che si prendono il loro tempo e si sforzano di stare ferme. E credo che molti abbiano la sensazione, io di certo, che siamo a pochi centimetri da uno schermo gigante, rumoroso e affollato, che cambia ogni secondo: e quello schermo è la nostra vita. È solo facendo un passo indietro, e poi un altro indietro, e stando fermi, che possiamo iniziare a vedere il significato della tela e vedere il quadro completo. Alcuni lo fanno per noi, restando dove sono.

In un’epoca di accelerazione, non c’è niente di più esilarante che andare piano. In un’epoca di distrazioni,non c’è niente di più lussuoso del prestare attenzione. E in un’epoca di movimento costante, niente è più urgente dello stare fermi. Quindi, partite pure per la vostra prossima vacanza a Parigi, Hawai, o New Orleans; scommetto che sarà bellissimo. Ma se volete tornare a casa vivi e pieni di speranza, in pace con il mondo, credo che potreste considerare di non andare da nessuna parte.

Per il Ted Talk vai al link: http://www.ted.com/talks/pico_iyer_the_art_of_stillness?language=en

45790-Jon-Krakauer-Quote-Happiness-is-only-real-when-shared“Happiness is real only when shared.” 

-Into the wild

 

di Ilaria Canali

A chi si affida il camminatore quando deve scegliere il suo percorso? Qual è la “guida turistica” di chi va a piedi? Sebbene ormai lo smartphone sia il compagno di viaggio di una percentuale sempre crescente di escursionisti, la guida turistica classica non ha perso la sua importanza. Non a caso, infatti, sulla Francigena si sono susseguite negli ultimi anni diverse pubblicazioni fino ad arrivare, lo scorso ottobre, all’ultima guida, considerata definitiva e ufficiale “La via Francigena” edita da Terre di Mezzo (http://percorsiditerre.it/negozio/la-via-francigena).

Ma vediamo di comprendere meglio cosa si cerca, e cosa si trova, in una guida turistica rispetto a quello che propone un blog di viaggio.

La guida turistica è un prodotto editoriale nato a scopo informativo, le cui caratteristiche principali sono l’esaustività, la completezza e il tono obiettivo e distaccato. Per lungo tempo, critici letterari e studiosi si sono chiesti se le guide turistiche dovessero essere considerate letteratura di viaggio. Spesso quel carattere di soggettività/oggettività, che dovrebbe distinguerle, si perde: non mancano esempi di racconti di viaggio contenenti informazioni pratiche, di natura geografica, storica e culturale, riconducibile al paradigma della guida turistica; allo stesso tempo e alla stessa maniera le guide riportano citazioni e riferimenti letterari, celano dietro la propria oggettività, caratteri, usanze e ideologie tipiche di un determinato periodo storico. Non basta infatti una descrizione per far sì che un luogo diventi una meta turistica e la sfida che ogni guida si trova a dover affrontare è sul fronte motivazionale ed emotivo: riuscire a trasmettere il desiderio di partire e raggiungere la destinazione che si sta offrendo al lettore.

Trasformare il lettore in viaggiatore è per le guide quello che per un blog di viaggio significa trasformare un click in una conversione. Ma se l’obiettivo è comune, i mezzi usati non lo sono, se non in parte. Le destinazioni turistiche attraverso le pagine dei blog, con i racconti e le foto condivise in tempo reale sui social media, ricevono una visibilità virale potentissima tanto da poter definire i travel blogs dei veri e propri ambasciatori digitali dei luoghi. I blog di viaggio, generali o tematici, dedicati a un target specifico di viaggiatori, guidano il futuro visitatore alla scoperta di luoghi potenzialmente appetibili come meta da raggiungere (tra questi http://www.acasamai.it/), o come un nuovo itinerario da intraprendere (http://www.ammappalitalia.it/), oppure come escursione da vivere (Pensieri in cammino: http://www.trekking.it/blog/pensieri/). Sul fronte del travel blogging e dei cammini, lo scorso anno è stato avviato una esperienza originale, Italian Wonder Ways (http://www.italianwonderways.com/) in cui giornalisti e bloggers provenienti da tutto il mondo hanno fatto l’esperienza sui nostri cammini per diventare ambasciatori e portavoce della nostra straordinaria bellezza territoriale e del nostro patrimonio culturale. Quest’anno invece, il prossimo Maggio partirà un cammino dall’Italia verso l’Europa con un progetto organizzato da Ammappalita. L’intenzione è di portare il nostro mondo dei cammini fino a Bruxelles e presentare all’Europa il panorama e la stato dell’arte di un settore in fortissima crescita, il tutto camminando, sì, ma anche raccontando on line il percorso, passo dopo passo, raccogliendo le storie che si incontreranno nella via e costruendo una narrazione partecipata e condivisa.

Turismo e storytelling: l’arte di raccontare i luoghi

Quando pensiamo di intraprendere un viaggio, la scelta della meta è sicuramente influenzata dal modo in cui questa viene presentata e dall’immagine che creiamo intorno ad essa. È infatti l’immaginazione dei luoghi, delle culture e delle persone che si incontreranno che, inconsciamente, influenzano il nostro viaggio, portando l’individuo viaggiatore a sviluppare o no l’interesse a visitare un determinato luogo. In questo senso, ricopre un ruolo fondamentale l’immagine veicolata dalle fotografie e dai video che vengono condivisi sui social media. Come descrivere il luogo ai futuri visitatori? Come si sa, una immagine vale più di mille parole. Quindi va alla fotografia il ruolo da protagonista indiscussa della promozione dei territori. Eppure anche la narrazione dei luoghi, lo storytelling, è un fattore fondamentale per influenzare l viaggiatore. Le storie, i diari, i racconti partecipati contribuiscono senz’altro alla costruzione dell’immaginario intorno ad un paese, un ambiente, un paesaggio, mostrandone l’identità. Le storie catturano la nostra attenzione di lettori perché attraverso di esse attingiamo alle esperienze altrui per confrontarci e imparare dai loro errori, o per prendere esempio dai loro successi.

Storytelling, cammini, turismo, blog, sono campi diversi, ma hanno obbiettivi simili: regalare esperienze forti, dirette, reali e raggiungibili. Un blog, più di una guida turistica classica, può creare un rapporto autentico con la sua audience attraverso una narrazione che evochi situazioni in cui sia possibile rispecchiarsi facilmente, ma che siano allo stesso tempo originali, uniche, capaci di creare un surplus emozionale che stimoli desideri e aspirazioni.

Trasformare questi desideri in cammini o in viaggi, in escursioni o passeggiate, è la sfida raccolta dalle guide turistiche, dai manuali, dalle mappe, strumenti che nel loro insieme concorrono tutti a metterci in movimento. Possibilmente, come piace a noi di Federtrek, in un modo lento e per un turismo che sia il più possibile sostenibile.

“La felicità è reale solo se condivisa”, diceva il protagonista del film che è un vero e proprio inno alla avventura e al viaggio, Into the Wild. E la condivisione passa necessariamente dallo storytelling.